quando una copy va allo stage, di Flavia Brevi

Appunti, più o meno giornalieri, di una studentessa di Scienze della comunicazione.

Wednesday, December 27, 2006

segnal'etica

La rubrica di Flavia Brevi, "quando una copy va allo stage", è stata pubblicata per la prima volta qui.

Primo appunto, Il sapore dolce amaro del primo giorno.

È andata esattamente come pensavo. Ho constatato che quello del copy è un mestiere stimolante, perché, foss'anche per trovare un nome ad un pannello di cemento anti-intemperie, ti trovi a rispolverare le tue reminescenze di mitologia greca e latina e a spaziare dal campo scientifico a quello letterario. Ma la conferma dolorosa è stata che gli stagisti sono presi veramente poco in considerazione. Tutti mi ripetono: «È normale che sia così, sei solo al primo giorno». Io non volevo fare il deus (o meglio, la dea ) ex machina, sapevo che andavo più per imparare che per lavorare. Tuttavia, non è incoraggiante vedere i "colleghi" contare le ore che ti separano dalla fine del tirocinio, prima ancora di saggiare quello che effettivamente sai fare, per ricordarti che tra te e loro si erge il muro che delimita l'area della precarietà. La tua, ovviamente. La stessa collocazione spaziale in cui ti ritrovi (quell'angolo dell'ufficio ben isolato) rimarca il tuo stato di estranea in sosta (e, per giunta, in doppia fila). Ed è difficile far tacere quella voce dentro, che ti bisbiglia «Se avessi davvero talento, li avresti già zittiti tutti». Ma, come si dice, "domani è un altro giorno". Vediamo che succede.

Secondo appunto, Pubblicità ed Hermann Hesse.

Oggi, prima (mia) riunione per stendere il rough* di una nuova pubblicità. Partecipanti: copy-capo, art director, account... ed io. «Avrai un solo compito, Flavia», ha detto copy-capo: «ascoltare. E basta». Com'è facilmente intuibile, è stata dura trattenersi dall'esprimere qualche commento personale e sicuramente la mia duplice natura di donna (ancora acerba) e copywriter (alle prime armi) non ha reso l'operazione più semplice. Ma in quest'impresa ho avuto un aiuto insperato, quello di Hermann Hesse. Ho da poco terminato la lettura di Siddharta , un classico. Il mio passo preferito è quello in cui il protagonista apprende da un mite barcaiolo la sua lezione più importante: ascoltare il fiume. Che si tradurrà, in seguito, nella capacità di intendere, in ogni accezione del termine. Ecco l'illuminazione: in quel momento, ho deciso che quelle tre menti che stavano architettando chissà cosa dovevano diventare il mio fiume. E, come volevasi dimostrare, ho imparato molto. Sempre in tema di acqua, ho trovato la perfetta metafora dello stagista: la spugna. Come questa, infatti, il tirocinante dovrebbe cercare di assorbire il più possibile dall'ambiente circostante, fino ad inzupparsi. Ma non basta: serve un'altra persona (il referente) che abbia la voglia e il coraggio di spremere per bene questa spugna, fino all'ultima goccia. Quel che ne esce potrebbe rivelarsi molto più di semplice H2O, perfino ottimo spumante.
P.s.: ora, al termine di questo discorso, io vorrei trascrivervi tutto il libro sopra citato, ma mi sembrerebbe paradossale per un'aspirante copywriter avere già problemi di copyrighting, quindi mi limiterò ad una sola frase, che trovo splendida: «Le parole non colgono il significato segreto, tutto appare sempre un po' diverso quando lo si esprime, un po' falsato, un po' sciocco, sì, e anche questo è bene e mi piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d'accordo, che ciò che è tesoro e saggezza d'un uomo suoni sempre un po' sciocco alle orecchie degli altri".
*Il rough è il bozzetto di un annuncio. Uno schizzo di massima dove immagini e parole sono gia posizionate all'interno della pagina. Il rough dà un'idea base di quello che sarà il lay-out. Il lay-out rappresenta la visualizzazione di un annuncio. È la sua disposizione grafica in cui immagini e parole concorrono a dare l'idea di quello che sarà l'annuncio definitivo.
Le definizioni sono tratte da "il mestiere del copy" di Michelangelo Coviello (Mondadori)

Terzo appunto, Stagista contorsionista.

La parola di oggi (ma anche quella di ieri e di domani) è flessibilità. Perché se è vero - come dicono gli esperti - che la nuova configurazione del mercato del lavoro ci insegna (o costringe) ad essere flessibili, e il tirocinante lo è più di ogni altro, è anche vero che il mestiere del copywriter è la flessibilità ante litteram . Quando noi (estranei o novellini del settore) vediamo una pubblicità, pensiamo che quello sia un puzzle in cui ogni responsabile ha inserito il proprio tassello: l'account ha delimitato i confini; il copy e l'art, collaborando, hanno steso il progetto e il grafico lo ha realizzato. Magari fosse così semplice: in realtà, più che costruire un puzzle, realizzare una pubblicità è come giocare con i Lego. Il copy propone la sua lista di headline, a cui l'art avrà pensato di abbinare una lista di visual, e poi ogni elemento viene scomposto, esaminato, riposizionato, smantellato, modificato, dissezionato e completato. Il risultato sarà una decina di rough, ma solo uno sarà quello definitivo. Incredibilmente, nonostante la confusione precedente, sarà questo il momento cruciale, perché di solito la bozza preferita dal copy (ovviamente, quella con l'headline migliore) non coincide con la preferita dall'art director che, insieme con il grafico, opta per quella dal visual più "impattante". L'account, che crede di prestar voce al cliente, avrà un'altra idea su quale sia la più giusta e poi, alla fine, il cliente stesso confesserà che l'aveva pensata in maniera ancora diversa. Insomma, anche quando a noi (copywriter e professionisti del settore) parrà di aver trovato la formula più originale e perfetta del mondo, dobbiamo essere pronti ad accettare il fatto che quella non sarà mai la versione definitiva. Sono invischiati troppi cuori e menti perché si riesca ad essere tutti unanimemente d'accordo e a turno (ovviamente, quello del cliente non verrà mai) si deve scendere a compromessi. Inoltre, la pubblicità non è una scienza esatta ed ognuno ne ha un'idea diversa: c'è chi ritiene sia più importante la creatività, chi l'adulazione smisurata, chi l'immagine, chi il testo. Quindi, aspiranti copy ed art, armatevi di tanta pazienza ed umiltà. Non troppa, però: caspita, se voi fate questo lavoro, un motivo ci dovrà pur essere!

Quarto appunto, Quando l'originalità non c'è, la donna nuda balla.

Non potevo perdermela. In occasione dei suoi 40 anni di attività, l'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria mette in mostra la "giustizia pubblicitaria" in Italia dal 1966. La Mostra è visitabile al binario 22 della Stazione Centrale di Milano, fino al 26 novembre 2006. Così, attrezzata con macchina fotografica, penna e taccuino, mi sono preparata alla "trasferta" milanese (non più di 40 chilometri, a dire il vero). Ero decisa a prendere appunti, certa che avrei trovato notizie interessanti. Alla peggio, ci avrei ricavato un articoletto! La prima impressione è stato un senso di assoluta desolazione. Mi sono resa conto, infatti, che quel ricorso ad immagini scioccanti o a frasi con doppio senso (o meglio, a senso unico, perché ovviamente vogliono far pensare solo al sesso) altro non era che un espediente per sopperire alla mancanza di creatività e di originalità. Se vediamo la foto di una donna a terra, morta a causa di un incidente, state pur certi che quel che andremo a notare non saranno i vestiti che indossa, né assoceremo a quel marchio una emozione positiva. Se sul motorino troneggia una bella donna nuda, rassegnatevi: non per questo il ragazzino comprerà il prodotto. Un adolescente vuole sfrecciare veloce e nient'altro gli interessa, se non le prestazioni del veicolo. Gli farà piacere guardare quella foto, ma sa benissimo che la modella non è inclusa nel prezzo. Ormai ci dobbiamo rendere conto che è passato quel "consumismo all'americana" degli anni '80. Siamo tutti nati nella pubblicità e, pertanto, più smaliziati e diffidenti. Certo, lo scandalo sa farsi notare e rimane impresso nella memoria. Ma oltre a ciò? La pubblicità non dovrebbe trasformarsi da attenzione in azione, cioè portare effettivamente all'acquisto? Sarò solo una stagista, ma almeno questo lo so.

Quinto appunto, Vita da stagista.

Con 87 ore all'attivo, mi sento ormai una copy-stagista affermata. Il mio incedere in ufficio si fa sempre più deciso e sicuro. Lo sguardo, fiero e altero, mira dritto al suo obiettivo. La voce, più ferma e risoluta, non ha più paura di dire la sua. Rapidamente sono riuscita a sentire questa agenzia come mia da tempo, e a sentirmi parte di questo ambiente da sempre. Ciò credo sia dovuto tanto ad una predisposizione naturale di camaleontismo, quanto al metodo shock di copy-capo. Per metodo shock intendo che copy-capo non mi ha mai trattata da stagista, ma, da subito, come una vera e propria copy. Dunque, niente mi è stato spiegato, che io sapessi era dato per scontato; nessuno sconto e full immersion totale nelle vesti della pubblicitaria. Niente di meglio (e di più spaventoso) per imparare presto e bene. Il primo lavoro che mi è stato affidato era per un'importante azienda che produce cemento e che primeggia nel suo settore in Europa. Si trattava (come già accennato nel primo appunto) di un'operazione di naming. Poi seguirono bodycopy, headline, con annesse bozze di visual, annunci per i giornali, testi per brochure, lettere e anche marketing plan. Ora siamo giunti alle prime sceneggiature e agli story board per gli spot televisivi. Per fortuna, non mi sono mai "accontentata" di quel che ho imparato all'università e, per essere totalmente sincera, molto più utili si sono rivelate le letture da autodidatta e quel fantastico mondo chiamato Internet. I pubblicitari, si sa, sono grandi comunicatori e non possono lasciarsi sfuggire le opportunità offerte da un mezzo tanto democratico quanto potente: siti e blog sull'argomento si sprecano. Quindi, nessun tutor per me, ma tanti maestri da cui imparare. Certo, non è stato subito un successo, inizialmente sono stata criticata per uno stile troppo creativo e "femminile" (cioè caldo e poetico); giudizi a cui (ma solo nella mia mente!) ho replicato accusando gli altri di manierismo vecchio stampo ed eccessiva retorica. Ma qualcosa deve essersi smosso: le correzioni ai miei testi diminuiscono di giorno in giorno, il lavoro aumenta, le responsabilità anche. Non pensate ad una mia metamorfosi, però: semmai preferisco parlare di una mutua e reciproca influenza tra me e copy-capo.

Sesto appunto, Stagista dalla A alla L.

Questo alfabeto della perfetta tirocinante è solo indicativo e può essere arricchito, modificato e aggiornato. Dipende, anche, dalle parole-chiave che incontro durante il periodo del mio apprendistato.
A: ATTENZIONE. Guardatevi sempre intorno. Siate pronti a fiutare, leggere e interpretare i segnali di cui l'ambiente è saturo. La curiosità, già insita naturalmente nell'uomo, deve essere in voi elevata all'ennesima potenza; qualsiasi apparente, insignificante sciocchezza potrebbe rivelarsi utile nel tempo.
B: BOSS. Il capo ha sempre ragione. Cercate, però, di non peccare di eccessiva adulazione nei suoi confronti: annuire e basta vi renderebbe completamente inutili. Di fronte ad un suo lavoro, nessuna critica esplicita, cercate comunque di metterci del vostro con suggerimenti ben confezionati dietro a frasi del tipo "Che ne pensi se aggiungessimo/togliessimo...".
C: COLLEGHI. Voi non ne avete, almeno inizialmente. Non siete dipendenti dell'agenzia, non avete nessun contratto che vi leghi a questa; semmai, siete delle appendici, un di più. Persino gli altri stagisti non sono colleghi, ma rivali. Rude a dirsi, eppure le cose stanno così: la loro morte (professionale!) è la vostra vita. Se pensare che vi assumano è un'illusione, credere che ingaggino 2 tirocinanti è pura utopia.
C: CREATIVITÀ. Ovvio che sia utile possederne, ma ricordatevi che la pubblicità non è arte, semmai - come dice Franco Tizian in "Comunicare" - fine artigianato. Voler fare i creativi ardimentosi a tutti i costi vi farà rientrare seduta stante in quel clichè di studentelli inesperti che non hanno ben capito la differenza tra scrittore e copy.
D: DISPONIBILITÀ. Dalle bodycopy alle fotocopie, tutto rientra nella categoria tirocinio. Se, alla richiesta di fare un caffè, risponderete che non è di vostra competenza, sappiate che non verrete interpellati nemmeno per realizzare lo story board di quel cliente importante. Tutti i lavori che vi verranno assegnati hanno uguale valore agli occhi del capo. Dunque, anche ai vostri.
E: ENTUSIASMO. Più ne avete, meglio è. Ma non dimostratelo troppo, altrimenti qualche cinico potrebbe accusarvi di dilettantismo.
F: FINGERE. Mai criticare il lavoro di un "collega", anche se avete un'idea mille volte migliore. Ricordatevi che lui, per quel che fa, percepisce uno stipendio, mentre voi potete considerarvi già fortunati se ricevete un rimborso spese. Fingete, perciò, che quel che vi mostrano vada bene, senza manifestare troppa euforia.
G: GIOVENTÙ. Per il vostro capo, il vostro tutor e perfino per la maggior parte dei vostri docenti universitari, questa parola è sinonimo di inettitudine, pigrizia e inesperienza. Vaglielo a far capire che lo stage serve proprio ad acquisire la pratica che il solo studio non può darvi.
H: HEADLINE. Alzi la mano chi non ha pensato che fare il copy consistesse praticamente solo in questo, e che era una cosa bellissima, perché è così avvincente quella sfida con se stessi: poche parole e pochissimo spazio per suscitare divertimento, commozione, sorpresa. Purtroppo, proprio perché è la parte più interessante, i vari copy-capo preferiranno tenersi per sé quest'incarico e dare a voi i testi delle brochure. Ma poi chi le leggerà mai le brochure?
I: IRONIA. Sappiate possederne in abbondanza, servirà a smorzare i toni di certe frecciatine che vi saranno lanciate e, unita all'intelligenza, metterà in luce il vostro acume. Non c'è bisogno di fare i pagliacci, però!
L: LINGUA. Francese, inglese, spagnola eccetera, ognuna può rivelarsi utile. Prima, assicuratevi di saper bene quella italiana.
L: LETTURE. Tante e varie. Quotidiani, romanzi classici, riviste specializzate... Tutto fa brodo. Se a ciò unite mostre, navigazioni in Internet, concerti e buon cinema (pure quello cattivo), avrete anche la ciccia.

Settimo appunto, Stagista dalla N alla Z.

N: NULLITÀ. Cercheranno di farvi sentire così. Voi pensate che, se lo fanno, o è per spirito di autoconservazione, per autodifesa (la gioventù già fa invidia di per sé, figuriamoci se è promettente), oppure perché anche loro hanno subito lo stesso trattamento.
O: OSTINAZIONE. Già agli albori della vostra carriera comincerà una leggera forma di mobbing. In realtà, è il concetto darwiniano della selezione naturale trasposto in ufficio (che, si sa, è anch'esso una giungla). Per scoraggiarvi, cercheranno di lasciarvi inattivi e rifilarvi meno lavoro possibile. Non aspettate: chiedete e (prima o poi) vi sarà dato. Se il capo continua ad ignorarvi, passate alle maniere dure: perseguitatelo. Non scherzo: continuate a camminargli a pochi centimetri dalle sue spalle. Prima o poi cederà, se non altro per disperazione.
P: POSTO. Sia nel senso di saper stare al proprio posto, sia nel senso di professione. Per evitarvi brutte disillusioni, allenatevi a pensare che il contratto a tempo indeterminato sia una leggenda metropolitana, il co.co.co un diamante raro e lo sfruttamento oro colato (perché, se lo fanno, significa che la sostanza c'è).
Q: QUALITÀ E QUANTITÀ. Da coniugare, ovviamente. Se per il resto del mondo è impossibile, per voi è dovere. Scrivere velocemente e bene è la base di partenza, non una dote che avete in più.
R: RISPETTO. Saranno anche gelosi, avranno anche loro passato momenti difficili come i vostri, ma ciò non è una giustificazione per non rispettarvi. Da leggersi, per il mio caro account: il fatto che io sia nel tuo stesso ufficio pur avendo meno della metà dei tuoi anni dovrebbe per te essere fonte di paura, non di snobismo.
S: SORPRENDERE. Se avete seguito il consiglio della lettera A (ATTENZIONE), saprete cosa ci si aspetta da voi. Quindi cercate anche di fare quello che da voi non ci si aspetta. Anticipare le mosse di copy-capo è la cosa che più mi riesce meglio. Per esempio, se lui mi dice che il giorno dopo mi affiderà il bodycopy di una pubblicità per biancheria intima, io, zitta zitta, rubo (meglio, prendo in prestito) il briefing, me lo porto a casa e il giorno dopo arrivo in ufficio con il lavoro già fatto. Che poi è quasi sempre da modificare. Ma l'effetto è garantito.
T: TALENTO. Grande cruccio dello stagista. Perché è proprio il tirocinio il vero banco di prova. La conferma di avere talento non comporta l'assunzione, la smentita di possederne porta alla crisi esistenziale.
U: UNIVERSITÀ. Scoprirete che non vi è stata inutile, ma, certo, nemmeno sufficiente. Banale ma vero, gli esami non finiscono mai.
V: VOLONTÀ. Abbiatene "un sacco e una sporta". Cercate di rimpinguare il vostro apprendistato con attività esterne ma sempre attinenti al vostro settore. Esempio tangibile? Questa mia rubrica in Segnal'etica, ma guai al primo che mi copya!
Z: ZUCCHERO (un poco). E la pillola va giù. Mi rendo conto di essere stata un po' pessimista in questo alfabeto: tranquillizzatevi, i momenti felici ci sono. Può essere un complimento fattovi dal copy-capo, una bella discussione sulla pubblicità con l'art-director, la foto di gruppo per i biglietti d'auguri di Natale dell'agenzia. Piccoli momenti di pura felicità, da assaporare come quando da piccoli si andava a trovare la nonna (che, da bambini, è sempre un po' un sacrificio) e si aveva in dono la caramella.

Tuesday, December 26, 2006

Ottavo appunto, Il dubbio amletico della stagista «Cos'hai intenzione di fare dopo il tirocinio?»

È la domanda che mi assilla giorno e notte. La stessa che mi è stata posta, oggi, da copy-capo. Ed è un vero rompicapo (la domanda, non il copy). Certo, dovrei portare a termine i miei studi, poiché sono ancora iscritta all'università, però... Il fatto è che il tirocinio mi ha molto cambiata, facendomi rivedere le mie priorità. Sono ora consapevole che la laurea è poco più che una gratificazione personale (anche se è pur sempre la massima aspirazione dei miei, che preferirebbero vedermi laureata e disoccupata piuttosto che il contrario) e che poco o nulla influirà su una mia futura e possibile assunzione. Altro particolare non irrilevante: se abbandonassi la pubblicità (interrompendo anche questa rubrica) rientrerei tra le fila degli studenti "tutta teoria e poca pratica". D'altronde, chi mai assumerebbe come copywriter (o assistente copy) una ragazza ventiduenne che frequenta Scienze della Comunicazione? Incredibile, la risposta c'è. La lista del sindaco della città nella quale studio e lavoro (purtroppo non nella quale abito) cerca una persona efficiente che si occupi della comunicazione. Copy-capo mi ha proposta: dice che è un modo per mantenere i contatti con la sua agenzia (e per non dovermi pagare di tasca sua!). Di fronte ad una situazione del genere, l'unica cosa che si può fare è valutare i pro e i contro. Pro: lavoro assicurato per un anno, primi soldini veramente guadagnati, incarichi sempre nell'ambito della comunicazione, curriculum arricchito (e di nomi importanti), ottime referenze. Contro: ostacolo agli studi, sfruttamento bell'e buono (lo stipendio è irrisorio e coprirebbe appena le spese e i disagi sarebbero molti, soprattutto nel trasporto), rinuncia alla carica di copy, e altri rischi impliciti quando si entra nell'ambito della politica. Sono combattuta, ma nella mia situazione non posso (ancora) permettermi di rifiutare nulla, soprattutto se ho avuto la fortuna di essere stata "raccomandata" (e di essere entrata, in qualche modo, in una sorta di "giro"). Se davvero volessi fare la pubblicitaria potrei iscrivermi ad uno di quei corsi specializzati i cui docenti sono professionisti del settore e poi - forse, chissà, magari - essere assunta nelle loro agenzie. C'è un problema, però: che le molte migliaia di euro richieste da queste scuole io non le ho. Ed è abbastanza rivoltante che il primo criterio di selezione di quelle che sarebbero istituzioni culturali non sia il talento (o le capacità, o le conoscenze), ma il denaro. Perché poi, una volta che si deve davvero lavorare, non conta più essere "figlio di", ma conta sapersela cavare.

Monday, December 25, 2006

Nono appunto. Fine di un capitolo : la stagista diventa ex "Il tempo ci rende sempre ex di qualche cosa".

Sono queste le parole che riecheggiano nella mia mente, mentre mi accingo ad uscire dalla porta dell'agenzia per l'ultima volta nella mia vita. Quando si varca una soglia (nel mio caso, anche nel senso letterale del termine) è sempre bene avere una bella frase in mente che sottolinei il momento che si sta vivendo. Negli anni, quell'aforisma ci renderà più facile rievocare i nostri ricordi e diventerà un tutt'uno con quello che abbiamo visto, sentito e "annusato" di quei pochi secondi passati così velocemente nell'ebbrezza dell'attimo. Non voglio, per carità, elargire pillole di saggezza. È che quando leggo un libro di Kundera entro nella mia fase filosofica-esistenziale. Così come, nel leggere Hesse (secondo appunto), ero entrata nella fase mistico-buddhista. Si procede così, per tentativi. Tentativi, per l'appunto: l'apprendistato è inevitabilmente, inesorabilmente finito e non mi resta che gettarmi a capofitto nella nuova avventura di "addetta al reparto comunicazione" di una lista politica. Dovrei essere contenta che tutto non si sia esaurito, che abbia trovato uno sbocco nuovo centrando l'obiettivo di un contratto (ma a progetto!). Eppure, non mi sento felice. Va bene la conclamata flessibilità (terzo appunto), ma io voglio fare la copy! E poi ormai mi trovavo bene in quell'agenzia: era bello osservare le reazioni di un gruppo di professionisti che vedevano smantellarsi sotto i loro stessi occhi i pregiudizi sui giovani e sull'incapacità degli stagisti. È stato entusiasmante (ma che dico, di più, è stato eccitante) venire a sapere che lo stesso Account che cercava di farmi sentire indesiderata e innocua in mia assenza mi aveva definita "una belva" per l'intraprendenza e per la pelle dura (corazza che, indubbiamente, anche lui ha contribuito a forgiare). Uscire dalla porta di quell'agenzia mi ha fatto pensare a come sono approdata lì, cioè a com'erano (diverse) le cose prima del primo appunto. È stato un avvio inaspettato, cominciato con lo scrivere qualche post per il blog del mio docente di Pianificazione Pubblicitaria. Quei post mi sono valsi la raccomandazione a Copy-capo, raccomandazione che, a dir la verità, lo rendeva ancor più sospettoso e scettico. Ancora non lo sapeva, ma da lì a tre mesi sarebbe toccata a lui la stessa sorte, procurandomi il mio primo lavoro. Ebbene sì, sono raccomandata. Perché, se è vero che per lavorare bisogna avere a volte la spintarella (purtroppo), allora è meglio avere la miglior declinazione possibile di essa: la raccomandazione per capacità. Sì, lo so: questo tirocinio mi ha proprio montato la testa. Tant'è. Ma ora posso solo salutare, portandomi dietro ancora qualche dubbio (ottavo appunto), un dizionarietto di consigli (non solo quelli del sesto e settimo appunto) e molti ringraziamenti da fare.Ringrazio Francesca Benvenuto, la prima a citarmi nel suo blog ( http://cosafaicopy.splinder.com ). Che ve lo dico a fare, già essere citati fa un piacere immenso, specie se si è alle prime armi, figuratevi se a farlo è una copywriter vera e propria.Ringrazio Martin Millar, il secondo e finora ultimo a citare sul suo blog (http://martinmillar.blogspot.com) i miei appunti, che ha poi raccolto e sistemato graficamente in http://www.quandounacopyvaallostage.blogspot.comRingrazio Copy-capo, inconsapevole di questa rubrica e di quanto io, nella realtà quotidiana, sia diversa dalla ragazza forte e tenace che ha conosciuto.Ringrazio quel docente inconsapevole di avere cambiato radicalmente la mia vita; come capita a tutti quei professori bravi, che però hanno la sfortuna di essere non solo onesti ma anche incendiari, non gli è stato rinnovato il contratto, così che io oggi vorrei tanto salire sul banco, proprio come ne "L'attimo fuggente", e recitare "O Capitano! Mio Capitano!".Infine, ringrazio Massimo De Nardo, che per me non ha ancora un volto, né un corpo, ma che mi ha suggerito l'aforisma che rimarrà per sempre legato al momento in cui mi sono chiusa alle spalle la porta dello stage. Con la promessa che la fine della mia rubrica non sarà la fine della collaborazione con Segnal'etica, il suo sito. Da oggi, chiamatemi pure ex-ex-stagista in carriera.